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Zen2, ore 21,00
“Era da stamattina che non ce la fidavamo più. C’erano almeno 20 operai a lavorarci, cose mai viste. Conosciamo a memoria i colori di tutti i deserti del mondo e questo tappeto verde messo là in mezzo faceva impressione. Poi dai furgoni hanno cacciato fuori anche le porte e quello che avevo di lato ha detto: “I carn’arrizzanu”. Le hanno tirate su piaaano, leeenti, hanno usato pure la livella perchè la traversa e la linea di porta dovevano essere perfettamente parallele. La traversa, abituati che sopra le mani del portiere è fuori. Ultimi ritocchi: domani viene il sindaco ad inaugurare. Uno ad uno gli operai coi giubbottini fosforescenti se ne sono andati, via libera: “Fatta fu”. Ci perdonerete, domani stringeremo le mani al sindaco e agli assessori tutti ma noi dobbiamo attaccare d’urgenza. Siamo 150 su un campetto di calcio da 5 contro 5 ma che ce ne fotte: il più piccolo va in porta da un lato, il più pacchione in porta dall’altro, la palla fra i piedi ce l’hanno sempre gli stessi due, gli altri sudano, assicutano e buttano voci. Dopo le prime 6 ore no stop i primi si sono stancati, qualcuno si è fatto già male e la madre a casa gli ha dato il resto e i più piccoli si sono messi seduti a bordo campo, ora sembra una partita vera. Maracanà, Wembley, San Siro, meglio di tutti questi messi assieme è sta faccenda. Cala il sole e si accendono i pali della luce, pochi. Pubblico seduto sulle panchine e affacciato alle finestre, siamo in estate e domani scuola non ce n’è, si va ad oltranza e non si sa quando arriverà il “Chi segna vince”. È troppo bello e forse stasera ci scapuliamo cucchiaiate di legno o padri che ci portano di peso a casa, si gioca tutta la notte, senza fine, con la luce di qualche lampione sgangherato, sotto una luna gigante”.
Un, dos, tres…Quattrocanti! Una Storia con il Sud
La storia è appassionante: 40 bimbi che riescono a diventare un’orchestra in poco meno di due anni rappresentando alla perfezione quella che è la realtà palermitana. L’orchestra multiculturale Quattrocanti, infatti, è formata da bambini di ben otto nazionalità differenti. Un progetto che è stato sviluppato sotto il cappello de “Il genio di Palemo” un intervento finanziato da Fondazione con il Sud che recentemente ha aperto un contest per narrare una serie di progetti da Napoli in giù. Io, assieme a Vincenzo Pennino e Gabriele Tramontana, abbiamo voluto raccontare la storia dell’orchestra Quattrocanti. Cliccando su questo link in basso potrete guardare il video e, qualora vi fosse piaciuto, premere il tasto mi piace! Un, dos, tres…Quattrocanti!
“Perché è la squadra della mia città”
In coda facendo il biglietto per lo stadio: davanti a me padre tamil tiene per mano il figlio con cappellino rosanero in testa. “Venite spesso?” Chiedo. Il signore, un po’ imbarazzato, comincia a spiegarmi in italiano stentato che capita frequentemente di portare il figlio al Barbera anche se non sono abbonati. La pulce di non più di 8 anni prende la parola con un italiano spedito e dall’accento panormita e mi conferma che non era la prima volta. “Quindi sei tifoso del Palemo”…”Ceeerto” risponde strascicando la e per dare forza alla parola data. Lo sottopongo alla prova del 9. “E in serie A per chi tifi”, mi guarda strano e con la faccia da uomo mi fa: “Io tifo solo per il Palermo perché è la squadra della mia città”. In una frase distrugge la totalità dei tifosi palermitani non rosanero, azzera le chiacchiere sullo Ius Soli e mi fa venire voglia di portarmelo in trionfo sulle spalle per le strade.
Il solito spettacolo
Il Festino raccontato da Gaetano Basile
Questo è un piccolo stralcio della mia tesi di laurea e nello specifico di un’intervista realizzata con lo storico palermitano Gaetano Basile. Parliamo di Festino, ecco qualche cenno storico.
“il Festino colpiva perché era l’ultima festa barocca europea, era uno spettacolo grandioso, itinerante, era una vera sfilata. Questo corteo che sfilava lentamente doveva proporre a tutti la ricchezza, la magnificenza e la munificenza del senato palermitano, allora a questa grande sfilata, partecipavano: tutta la nobiltà, tutti i militari, tutto il clero e finalmente sfilava questo carro barocco, un carro immenso. C’era un programma dettagliato del festino che teoricamente cambiava ogni anno, in realtà era sempre lo stesso. C’era il giorno dedicato alla corsa del cavalli riguardo alle quali non ne capisce niente nessuno, ed è molto divertente. C’è chi ha scritto, riguardo le corse, che si corre ma nessuno gioca e scommette, un altro inglese[1] invece ci informa che durante le corse si arrivano a giocare anche i bottoni delle camicie, chi aveva ragione? Si scommetteva alla grande.
Le prime sfilate della nobiltà erano a cavallo, sapere sfilare significava saper tenere a bada un cavallo, e quindi si poteva vedere la bravura del cavaliere in quelle occasioni, poi la cosa cadde in disuso perché addestrare un cavallo per sfilare era costosissimo e quindi si passò alle carrozze. Quelle sfilate a cavallo, le “carbacate”, erano anche un’occasione per mostrare bardature da infarto, argenti, ori, coralli, io possiedo uno sperone del Seicento, ma di quelli poveri. Una bardatura completa del cavallo fatta in corallo e rame, si trova a palazzo Abatellis, esposta una sola volta, rarissima e difficile da conservare.
Poi, la cosa che stupiva molto i viaggiatori erano i giochi d’artificio, erano completamente diversi da quelle di oggi. Si creava una struttura in legno e cartapesta che rappresentava l’assedio di Troia, oppure l’Etna in eruzione, si creava una montagna, alta anche 50 metri, tutta in cartapesta e legno, le si dava fuoco e cominciava l’eruzione con lava che scorreva e fumo il tutto fra botti e scintille, poi nell’Ottocento nacquero i cosiddetti trasparenti, erano dei giochi di fuoco che scoppiavano e mettevano in evidenza un disegno fatto su tela illuminata che poi bruciava tutta. Questi erano i giochi di fuoco di un tempo, incredibili. C’erano anche le battaglie navali che terminavano nell’incendio totale delle imbarcazioni dopo aver dato spettacolo con una finta battaglia. Oggi il gioco di fuoco è una cosa totalmente insulsa che non significa né rappresenta nulla, semplicemente una serie di botti che non danno nessuna immagine tradizionale. Prima il festino si faceva il 29 di giugno, che era il giorno in cui il saponaro[2], con la sua dichiarazione stabilì che le ossa trovate erano quelle di Santa Rosalia. I primi a festeggiare per grazia ricevuta furono i suoi vicini di casa. Lui abitava al Capo, via dei pannieri N° 14, c’e ancora la casa, ma è stata bombardata. Furono i Capioti i primi a festeggiare, poi la data si spostò a metà di luglio perché il comune non aveva un soldo. In quel periodo si doveva festeggiare: Santa Rosalia, il parto della regina ed un altro avvenimento, quindi si preferì accorpare il tutto e fare un’unica festa, così fu spostato al 14 luglio. Il festino durò, 9 giorni, 7 giorni, 5 giorni, 3 giorni, tutto in base a quanti soldi c’erano. Quando ci fu il vicerè Caracciolo, che da 5 giorni lo passò a 3, tutta la città fu coperta da scritte che dicevano “O festa o forca”. Quello capì l’antifona e ripassò a cinque giorni dopo che gli fu recapitata una testa di capretto tagliata, un’usanza che rimane sempre in voga. Il festino è una festa a cui i palermitani non partecipano, i palermitani dovrebbero da fare da spettatori e comparse, il palermitano verace non ci sta, il festino se lo fa nei vicoli e ogni tanto si dà “un’affacciata” sul Cassaro per vedere a che punto è arrivato il carro. Poi però, quando il corteo ha superato porta Felice, allora i palermitani si precipitano, perché è lì, fuori dalle mura della città, che il popolo si unisce al clero, alla nobiltà e ai militari per celebrare tutti assieme l’apoteosi costituita dal gioco di fuoco, ecco il concetto filosofico del festino. Stando lì si mangia, si beve, ci si ubriaca, e tutti sono felici e contenti”.
[1] Rev. Brian Hill: Parla delle scommesse durante il festino nel suo diario di viaggio, “Observations and remarks in a journey through Sicily and Calabria in 1791”, Ed. Stockdale, Londra, 1792.
[2] Vincenzo Bonelli: “Di professione saponaro, persa la moglie, uccisa dalla peste, decise di togliersi la vita sul Monte Pellegrino. Giunto sulla cima del monte, in prossimità della grotta, gli apparve una fanciulla in abito eremitico che, nel rincuorarlo, gli svelò come quella grotta fosse stata la sua dimora in vita e la sua sepoltura in morte. Secondo tradizione Santa Rosalia.