Il Festino raccontato da Gaetano Basile

Questo è un piccolo stralcio della mia tesi di laurea e nello specifico di un’intervista realizzata con lo storico palermitano Gaetano Basile. Parliamo di Festino, ecco qualche cenno storico.

“il Festino colpiva perché era l’ultima festa barocca europea, era uno spettacolo grandioso, itinerante, era una vera sfilata. Questo corteo che sfilava lentamente doveva proporre a tutti la ricchezza, la magnificenza e la munificenza del senato palermitano, allora a questa grande sfilata, partecipavano: tutta la nobiltà, tutti i militari, tutto il clero e finalmente sfilava questo carro barocco, un carro immenso. C’era un programma dettagliato del festino che teoricamente cambiava ogni anno, in realtà era sempre lo stesso. C’era il giorno dedicato alla corsa del cavalli riguardo alle quali non ne capisce niente nessuno, ed è molto divertente. C’è chi ha scritto, riguardo le corse, che si corre ma nessuno gioca e scommette, un altro inglese[1] invece ci informa che durante le corse si arrivano a giocare anche i bottoni delle camicie, chi aveva ragione? Si scommetteva alla grande.

Le prime sfilate della nobiltà erano a cavallo, sapere sfilare significava saper tenere a bada un cavallo, e quindi si poteva vedere la bravura del cavaliere in quelle occasioni, poi la cosa cadde in disuso perché addestrare un cavallo per sfilare era costosissimo e quindi si passò alle carrozze. Quelle sfilate a cavallo, le “carbacate”, erano anche un’occasione per mostrare bardature da infarto, argenti, ori, coralli, io possiedo uno sperone del Seicento, ma di quelli poveri. Una bardatura completa del cavallo fatta in corallo e rame, si trova a palazzo Abatellis, esposta una sola volta, rarissima e difficile da conservare.

Poi, la cosa che stupiva molto i viaggiatori erano i giochi d’artificio, erano completamente diversi da quelle di oggi. Si creava una struttura in legno e cartapesta che rappresentava l’assedio di Troia, oppure l’Etna in eruzione, si creava una montagna, alta anche 50 metri, tutta in cartapesta e legno, le si dava fuoco e cominciava l’eruzione con lava che scorreva e fumo il tutto fra botti e scintille, poi nell’Ottocento nacquero i cosiddetti trasparenti, erano dei giochi di fuoco che scoppiavano e mettevano in evidenza un disegno fatto su tela illuminata che poi bruciava tutta. Questi erano i giochi di fuoco di un tempo, incredibili. C’erano anche le battaglie navali che terminavano nell’incendio totale delle imbarcazioni dopo aver dato spettacolo con una finta battaglia. Oggi il gioco di fuoco è una cosa totalmente insulsa che non significa né rappresenta nulla, semplicemente una serie di botti che non danno nessuna immagine tradizionale. Prima il festino si faceva il 29 di giugno, che era il giorno in cui il saponaro[2], con la sua dichiarazione stabilì che le ossa trovate erano quelle di Santa Rosalia. I primi a festeggiare per grazia ricevuta furono i suoi vicini di casa. Lui abitava al Capo, via dei pannieri N° 14, c’e ancora la casa, ma è stata bombardata. Furono i Capioti i primi a festeggiare, poi la data si spostò a metà di luglio perché il comune non aveva un soldo. In quel periodo si doveva festeggiare: Santa Rosalia, il parto della regina ed un altro avvenimento, quindi si preferì accorpare il tutto e fare un’unica festa, così fu spostato al 14 luglio. Il festino durò, 9 giorni, 7 giorni, 5 giorni, 3 giorni, tutto in base a quanti soldi c’erano. Quando ci fu il vicerè Caracciolo, che da 5 giorni lo passò a 3, tutta la città fu coperta da scritte che dicevano “O festa o forca”. Quello capì l’antifona e ripassò a cinque giorni dopo che gli fu recapitata una testa di capretto tagliata, un’usanza che rimane sempre in voga. Il festino è una festa a cui i palermitani non partecipano, i palermitani dovrebbero da fare da spettatori e comparse, il palermitano verace non ci sta, il festino se lo fa nei vicoli e ogni tanto si dà “un’affacciata” sul Cassaro per vedere a che punto è arrivato il carro. Poi però, quando il corteo ha superato porta Felice, allora i palermitani si precipitano, perché è lì, fuori dalle mura della città, che il popolo si unisce al clero, alla nobiltà e ai militari per celebrare tutti assieme l’apoteosi costituita dal gioco di fuoco, ecco il concetto filosofico del festino. Stando lì si mangia, si beve, ci si ubriaca, e tutti sono felici e contenti”.


[1] Rev. Brian Hill: Parla delle scommesse durante il festino nel suo diario di viaggio, “Observations and remarks in a journey through Sicily and Calabria in 1791”, Ed. Stockdale, Londra, 1792.

[2] Vincenzo Bonelli: “Di professione saponaro, persa la moglie, uccisa dalla peste, decise di togliersi la vita sul Monte Pellegrino. Giunto sulla cima del monte, in prossimità della grotta, gli apparve una fanciulla in abito eremitico che, nel rincuorarlo, gli svelò come quella grotta fosse stata la sua dimora in vita e la sua sepoltura in morte. Secondo tradizione Santa Rosalia.